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Il respiro della formica
di Licia Allara

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    Casa Editrice: Europa Edizioni - 404 pagine
    Formati disponibili: cartaceo e ebook




  • Genere: Narrativa

    Trama:
    "Ritrovo il mio posto, quello di uno su sette miliardi, quello di una formica che respira la notte e non pretende di essere padrona del mondo."

    Recensione:
    "Il respiro della formica", il nuovo romanzo di Licia Allara, nasce dal ricordo di un fatto di cronaca: la morte di stenti di un ex imprenditore e del suo cane. L'Autrice, rimasta colpita dalla tristezza della vicenda che, riportata in poche righe di cronaca locale, sottolinea quanto poco valga una vita umana quando si spengono i riflettori che la illuminano e non c'è nessun altro che un cane ad esserne compagno. Una storia vera dà il "la" ad un corposo romanzo che copre tre anni della vita del professor Sergio Gamba, un lasso di tempo in cui l'Autrice costruisce interi mondi, e colloca la narrazione andando a scavare nella memoria di Sergio, dal momento in cui muore la madre e, svuotandone casa, trova le chiavi della villa in cui prestava servizio e lui era stato accolto come un figlio dai proprietari Carlo e Pia. La visita alla villa decadente e la scoperta di un cadavere in garage accanto a due Ferrari, riportando alla luce fatti e persone della sua infanzia, persone che lo hanno amato e che lui non ha saputo/voluto ricambiare, è una scossa alla torre in cui si è rinchiuso.
    La vicenda è narrata dalla voce del protagonista che ci porta nei luoghi più oscuri dell'animo umano, il suo, vive le vicende e le filtra attraverso il suo essere volutamente solitario, spettatore della natura e degli animi umani. L'utilizzo della prima persona fa sì che alcune parti che potrebbero apparire prolisse siano in realtà un attento esame dell'animo del protagonista, e rispecchino abbastanza fedelmente i tentennamenti e le circonvoluzioni di pensieri riscontrabili in chiunque.
    La narrazione procede su vari livelli e l'Autrice è brava nel rendere i vari piani narrativi perfettamente intersecati, creando una sorta di sinfonia di voci e luoghi che emanano dalle pagine del romanzo in una sorta di vapore in cui sono condensati gli aliti di tutte le persone che hanno fatto e fanno parte della vita di Sergio, le loro storie e i vari luoghi in cui sono immersi. Parlare della trama del romanzo sarebbe riduttivo, sarebbe scegliere alcune linee che compongono questo riuscito intarsio facendo credere che si tratti di una storia noir, di una storia d'amore e d'amicizia, oppure di una ribellione che cova negli animi, oppure semplicemente il riscoprire la natura (anche umana) in alcune suggestive parti del mondo, ma tutto ciò non sarebbe parlare del romanzo. Per parlarne bisognerebbe mettere a nudo i cuori e gli animi di tutti i protagonisti, che sarebbe come raccontare la vita di ogni albero che ombreggia le strade che i protagonisti calpestano nel loro andirivieni, sarebbe contare i palpiti che fa il cuore di un bimbo nel grembo materno o i battiti di ala di un falco che si issa sull'orizzonte. Perché "Il respiro della formica" è tutto ciò, narrato col cuore, prima che con la mente, direttamente al cuore del lettore, perché l'Autrice ben conosce l'arte di raccontare, tenendo avvinto il lettore lungo le quattrocento pagine di fatti rilevanti per il protagonista o di cose appena sussurrate, di gioie e tragedie private ma incommensurabili. Lo stile è delicato, tipico dell'Autrice, pieno di piccole gemme preziose, che non inficiano mai la tensione. In queste pagine, trova posto il bisogno inconfessato di Sergio di crearsi una famiglia, e, più in generale, di trovare la propria collocazione al di fuori di sé, sia essa un nucleo famigliare, oppure un'idea, da vivere, inseguire o da usare come scudo contro quel che della società pare storto.
    Il linguaggio è semplice ed immediato, raramente sconfina in un eccesso di colloquialità, ed alcune delicate venature dialettali lo rendono ancor più partecipato e reale; non mancano le divagazioni filosofiche e sociali che completano il quadro di sensazioni capaci di evocare in pieno periodi e ambienti messi sotto la lente d'ingrandimento da Licia Allara.
    Così ci rendiamo conto, insieme a Sergio, che a volte la vita ci fa regali inaspettati, altre volte ci mette di fronte a verità scomode, difficili da accettare, impossibili da interpretare. C'è un punto, però, in cui queste due antitetiche realtà possono incontrarsi e rivelarsi regali. Seppur incartati male e deposti nelle nostre mani in modo maldestro, possono nascondere sorprese insperate.
    Di certo una cattiva notizia non può considerarsi un regalo. La cattiva notizia è una pastiglia amara da mandar giù. E' una frustata di primo mattino. Un cibo avariato che si osserva con disgusto e che non si immagina mai che un giorno si sarà capaci di imparare a masticare. E' il boccone di traverso che la vita prima o poi ci fa provare.
    Al suo interno, il libro è una meditazione sulla solitudine: Sergio è un solitario, la sua solitudine densa, magmatica, lo tiene ancorato a un sé non immediatamente percorribile, dovrà trovare l'ordine perduto che lo sigilla nel suo essere solo. Durante una vacanza in Vietnam, la solitudine di Sergio si lega a quella di Chiara, una ragazza che viaggia in solitaria, brillante e intraprendente ma con un alone di mistero, i due tentano di aprirsi, esporsi, l'uno all'altro. Lo fanno, ma con un misto di slancio e riluttanza, ciascuno si mostra all'altro, però tenendo sempre qualcosa celato, soprattutto Sergio, alimentando l'idea che quei pezzi oscuri ci sono, sono ben conservati, magari stentano a trovare una collocazione, nell'intima paura che una relazione renderà i frammenti bui uguali a tutto ciò che li circonda e quindi perfettamente integrati, visibili e leggibili.
    Accanto a Sergio, profondamente introspettivo che spesso trova conforto nei libri e nella costruzione di modèllini di navi (che poi colloca vicino ai cassonetti), c'è l'amico Massimo, un collega vedovo, un uomo profondamente empatico, positivo e propositivo, importante e sempre presente per Sergio e poi c'è Chiara... Il libro esplora le varie dimensioni della solitudine, dal suo potenziale di scoperta di sé alla sua capacità di estrema chiusura e malinconia.
    La scrittura di Licia Allara approfondisce la complessità della condizione umana. Attraverso Sergio, esamina le esperienze universali del desiderio, dell'interrogatorio esistenziale e della ricerca di significato in un mondo che spesso sembra frammentato e incerto.
    Il romanzo sfida la nostra percezione della realtà e dell'identità. Sergio spesso mette in discussione la natura della realtà, suggerendo che può essere un concetto fluido e soggettivo. Questo tema invita i lettori a riflettere sulla malleabilità della verità e sui modi in cui costruiamo le nostre realtà e, personalmente, mi sono trovata a riflettere: la "Divina Commedia" inizia con un "io" che si è perso dentro una "selva oscura" che non è un semplice bosco di notte, ma è la selva delle sue paure, delle sue angosce, dei suoi fallimenti... e ci vuole coraggio per ammettere di essere smarriti, di aver perso la via, il coraggio di essere Sergio, una formica che, insieme a tante altre formiche come lui, si dirige verso il futuro, verso la luce.
    (Luisa Debenedetti)

    Citazioni da questo libro:
    [...] adoravo quei momenti tutti miei, senza amici o donne intorno, senza dover trovare qualcosa da dire o dover sorridere o ascoltare per forza.

    Maledetta la mia splendida, altissima torre d'avorio, dove mi ero rinchiuso facendo finta di bastare a me stesso, lasciando fuori tutti quanti. Anche mia madre.

    Guidavo sospeso in un tempo che precipitava nel nulla. Il nulla che ero stato per mia madre, quando avrei potuto, anzi dovuto, essere il tutto; quel tutto che lei era stata per me, senza che io avessi avuto mai la decenza di riconoscerlo. E ora era tardi. Tardi per prendere a ceffoni l'adolescente ribelle, il giovane uomo arrogante e insensibile, il maturo professore che per non saper dire grazie non aveva potuto chiedere scusa.

    C'è una prima innocenza, quella candida di quando siamo bambini; e per alcuni c'è una seconda, forzata, colpevole innocenza adulta. L'innocenza di chi le colpe le nasconde a se stesso, e si illude che possano estinguersi per prescrizione.

    Per quasi vent'anni avevo sperato che, non disturbandola, la vita si sarebbe dimenticata di me.

    Capii in un lampo che la felicità si scopre per mancanza.

    Ho toccato con mano una felicità così pura che temo di esserne stato contaminato. La felicità di chi non ha niente stride con la mia disperazione meschina, di soli due giorni fa, la disperazione codarda di chi ha avuto tutto.

    Della stessa autrice:
    In nome del figlio
    Lettera alla sposa



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