Casa Editrice: Libromania - 422 pagine
Disponibile in formato cartaceo e ebook
Genere: Storie vere
Trama:
Anni Trenta. I cicli della terra segnano il tempo al Querceto: poche case sparse, piccoli fazzoletti di terra buona ma dura da coltivare sulle pendici di Monte Sole. Aldo Marchi cresce in quel piccolo mondo tra fatiche nei campi, feste e riti contadini, ma a renderlo felice sono le passeggiate solitarie e senza meta nei boschi che ricoprono quel tratto di Appennino tosco-emiliano. Aldo è taciturno come il padre, ha uno spirito libero che lo rende diverso dai fratelli e fa storcere il naso persino a sua madre. Giovane contadino, vive anni drammatici della storia del Novecento: è soldato nell'esercito italiano in Africa, lotta per la sopravvivenza tra bombardamenti e stragi lungo la linea Gotica durante la Seconda guerra mondiale, nel dopoguerra trova un nemico ancora più grande nei medici che trattano come malattia mentale la sua epilessia. In mezzo alle avversità, brilla sempre la luce dell'amore per Carolina e per i loro figli. Un amore incontaminato che, pur tra sofferenze e delusioni, nutre le sue speranze per il futuro e la sua capacità di resistere all'ignoranza e ai pregiudizi che lo circondano.
Recensione: "Tu non ci credere mai" di Alessandro Marchi è un romanzo che ha come protagonista Aldo, il nonno dell'Autore, e la sua famiglia. Una ricerca, anche se romanzata, delle proprie origini che sembra quasi fatta osservando le vecchie fotografie di famiglia scovate in un baule dimenticato in soffitta.
Uno spaccato del periodo della guerra e del periodo immediatamente successivo, raccontato in modo diverso e con grandissimo amore per chi, in un periodo così difficile, ha saputo tenere fede ai propri valori e alla propria compostezza facendo il possibile per "sopravvivere" trovando l'amore, perdendolo nel modo più tragico e subendo anche le ingiurie del ricovero in manicomio.
Senza nulla togliere ai racconti dei bambini in istituto, i capitoli che raccontano le diverse fasi del ricovero di Aldo sono quelle che mi hanno colpita di più. La concezione, da parte dei medici, della salute e della malattia viene rappresentata come universo concentrazionario dove i medici, appunto, sono i padroni assoluti della vita e della morte di chi gli viene consegnato - non certo volontariamente - e su cui esercitano un imperium senza limiti e privo di responsabilità giuridica.
Il trattamento che Aldo subisce a causa di una forma di epilessia mi ha ricordato 1984 di Orwell: nemmeno lui arrivò ad immaginare un simile grado di violenza da parte dell'istituzione statale.
Eppure Marchi scrive senza calcare troppo sulle brutture, e quello che emerge profondo è l'amore per la vita da parte di queste persone, tanto normali da risultare eccezionali anche per la commovente moralità d'altri tempi.
La scrittura è limpida e senza fronzoli fin dalle prime pagine, e ha catturato tutta la mia attenzione con quelle frasi brevi, quegli a capo a ritmo sostenuto, quei dialoghi stringati, sicuramente indice di uno stile consapevole e meditato.
In questo libro c'è tutto: c'è la lotta per la libertà, l'amore viscerale per la propria terra, c'è l'amore in tutte le sue forme, ci sono il coraggio e la forza.
Il romanzo ha molto da offrire: sentimenti puri sia in positivo che in negativo, solitudine, l'asprezza di una situazione che non ci tocca e che è troppo facile dimenticare quando si sta belli comodi su un divano.
Leggetelo, magari preparandovi a buttar giù il groppo in gola che vi lascerà.
E come disse De André in Coda di lupo: "A un Dio a lieto fine non credere mai". (Luisa Debenedetti)