Casa Editrice: Lindau - 248 pagine
Formati disponibili: cartaceo e ebook
Genere: Amore e sentimenti
Trama:
In questo suo terzo e ultimo romanzo, rimasto incompiuto a causa della sua morte, Tarchetti esplora tutte le forme ossessive della malattia, della follia, e infine dell'attrazione mortale. In pagine fitte di eccessi e di contrasti violenti e irrisolti, Giorgio racconta la perturbante vicenda che lo ha legato a due donne, la raggiante e vitale Clara, e la tetra Fosca, consumata dalla malattia. Militare di carriera, si è innamorato di Clara a Milano, ma, trasferito in provincia, conosce Fosca, la cugina del suo colonnello. Inizialmente preda della nostalgia per Clara, a poco a poco diviene vittima dei turbamenti e dei pensieri malsani di Fosca che, donna-vampiro per eccellenza, risucchia tutta la sua linfa vitale. Abbandonato da Clara, il militare si accorge del sentimento che prova per Fosca, l'unica delle due donne che lo abbia davvero amato.
Con "Fosca", scrive Roberto Fedi nella prefazione, "Tarchetti si svincolava dalla tradizione e si immergeva in un magma ribollente da cui non sarebbe riemerso, intrattenendo rapporti decisamente pericolosi con il mostruoso e l'orrido, e quasi verrebbe da dire con l'horror. […] Nel panorama fine ottocentesco degli 'Inetti a vivere', lo pseudo protagonista Giorgio e la reale protagonista Fosca appaiono già, nel 1869, due personaggi emblematici non solo del male di vivere di fine secolo, ma soprattutto dei futuri sviluppi della narrativa e della cultura di quel tempo e del tempo a venire, due entità disperate senza possibili redenzioni".
A distanza di oltre un secolo e mezzo dalla sua pubblicazione, dopo avere inaugurato nel 1971 la collana "Centopagine" diretta per Einaudi da Italo Calvino ed essere stato tradotto in film (Passione d'amore) da Ettore Scola nel 1981, questo romanzo, non finito e imperfetto, continua a esercitare un singolare e sottile richiamo sul pubblico di più generazioni.
Recensione: "Fosca" di Iginio Ugo Tarchetti, uno dei massimi esponenti della Scapigliatura milanese, è stato originariamente pubblicato sulla rivista "Il Pungolo" a puntate che sono state raccolte in un romanzo, un romanzo che parla d'amore.
Per quanto il tema possa apparire scontato, il modo in cui Tarchetti lo declina non lo è affatto: l'amore di cui parla Tarchetti non ha nulla a che vedere con un sentimento di profondo affetto e natura chiara, limpida. Tarchetti parla di un amore mortifero, che trae la sua stessa energia vitale succhiando linfa vitale all'innamorato, è un amore che fa male e porta al dolore, a volte anche alla morte, un amore da Lolita o da Romeo e Giulietta.
La storia si sviluppa sotto forma di diario intimo, rivolto ad eventuali lettori, grazie al quale Tarchetti ci ha consegnato uno dei personaggi femminili più irresistibili, affascinanti e carismatici della storia della letteratura italiana.
L'introduzione alla storia è particolarmente pesante, lenta e prolissa di spiegazioni, inutili e sicuramente evitabili, tipiche della scrittura ottocentesca, scrittura che spesso complica la vita al lettore contemporaneo ma è un pegno che vale la pena pagare.
I personaggi sono pochi, ben strutturati e definiti ciascuno nelle proprie caratteristiche personali.
Giorgio, il personaggio principale, è un militare e la vicenda viene narrata dal suo punto di vista, ma la vera protagonista, colei che spicca in ogni pagina, è uno dei due personaggi femminili: Fosca.
E' subito evidente come i due personaggi femminili, Clara e Fosca, siano contrapposti tanto nel carattere e nel fisico quanto nel nome che evidenzia le loro caratteristiche psicologiche.
Giorgio testa sulla sua stessa pelle due antitetici tipi di amore; se a viverli fossero stati due personaggi distinti, l'opposizione non sarebbe stata così marcata, si sarebbe trattato di soggettività. Ma qui, il contrasto è una stridore acuto, un'unghia che gratta sulla lavagna, ed è messo ancora più in risalto dall'accostamento ironicamente ossimorico dei nomi delle due donne: Clara e Fosca.
Clara è la luce, pur non essendo pura, perchè adultera, rappresenta l'amore benefico, sano, la medicina di ogni male. Lei è bella, l'amore nasce da uno sguardo ed è uno scambio reciproco, intenso, ma equilibrato e regolare.
Fosca è un personaggio raro, credo uno dei più strani di cui abbia mai letto, estremamente complicato, ma perfettamente caratterizzato. Rappresenta il buio, il tormento interiore, un amore che consuma come una vera e propria malattia. Un amore viscerale, morboso, che va oltre quello che noi conosciamo.
La contrapposizione delle due donne appare evidente anche nell'aspetto fisico: Clara è bella, florida, in salute; Fosca è brutta, malata, mortifera. A spiccare e mitigarne l'aspetto sono i vivaci e grandi occhi scuri e i bei capelli corvini.
Fosca è l'incarnazione della donna vampiro.
Sebbene non venga presentata come tale, è chiaro che ci sia una notevole ispirazione dietro al suo personaggio. Fosca simboleggia la malattia e la morte e, come nei più classici romanzi gotici, vampirizza Giorgio che ne viene ossessionato, tanto da scambiare l'ossessione per una forma di amore, un amore malato, morboso.
Fosca affascina, come una vampira: anzi, seduce Giorgio proprio per il suo fascino mortifero, ella è una figura misteriosa, conturbante e ammaliante.
Giorgio è un personaggio debole, io lo definirei egoista e volubile nelle sue scelte: si trova nel mezzo di due amori totalmente diversi, ma non sceglie. Sono sempre le due donne che in qualche modo condizionano ogni sua scelta. E' il perfetto archetipo dell'uomo del Romanticismo: follemente passionale, ama o odia con tutto se stesso, senza mezze misure e viene consumato dalle sue stesse passioni e da un obbligo morale che si ritrova a dover sopportare, ma da cui non si svincola, pur avendone l'occasione. Sembra vittima di qualcosa di alchemico, di artificiale, del risultato di una stregoneria medievale: la sua psiche si ritrova in continuo conflitto con se stessa, combattuta fra un sentimento di odio estremo e una pietà quasi morbosa.
Dal canto suo, Fosca è un susseguirsi di umori e sentimenti contrastanti in cui il punto focale è, però, sempre l'amore accecante che prova: un amore ricco di sentimento e dolcezza, che si tramuta repentinamente in egoismo violento e accanimento ossessivo.
A mio avviso, esiste un leitmotif nel romanzo che attiene all'universo femminile, mi riferisco, nello specifico, alla chioma, ai capelli, nella fattispecie a quelli di Fosca, che Giorgio descrive enfaticamente come "neri, folti e lucentissimi".
Lo sviluppo della psicanalisi ed il lavoro di Freud con la sessualità erano, nel XIX secolo, un riflesso delle trasformazioni del progresso, così come loro influenzavano il corpo e la psiche. Le parti del corpo divennero, come Freud provò, simboli molto leggibili e dicibili, una voce somatica per la psiche. Il topos della chioma, simbolo della Scapigliatura, è dunque qui ravvisabile quando Fosca implora Giorgio di tagliarle i capelli, sta anche pronosticando una fine, perché lei li taglierà prima o poi, lasciandolo a meditare sulle sue parole agghiaccianti. Giorgio sa che quando Fosca avrà tagliato i capelli, lei morirà, perché lo spirito di ribellione (sessuale) è la sua unica forza vitale. Una particolare simbologia, infatti, connette i capelli al dolore e al lutto: tagliarsi i capelli, lasciarli incolti, cospargersi la testa di cenere o semplicemente coprirsi per un certo periodo i capelli sono atti simbolici stereotipati con cui si manifestavano in forma visibile il dolore, l'amore non ricambiato o la disperazione. Ancora oggi la locuzione "strapparsi i capelli per il dolore" indica una situazione estrema di sofferenza, tale da spingere l'individuo all'autodegradazione.
Questo romanzo è decisamente peculiare nel contesto in cui nacque, per topos e archetipi strizza molto l'occhio al romanzo gotico.
Fosca è un romanzo conturbante, affascinante ed estremamente forte.
Leggendolo a volte ho provato un senso di claustrofobia, quasi fossi intrappolata in quella discesa disperata verso il limbo. Eppure, non sono riuscita a staccarmene. Fosca attrae con la sua storia, ossessiona il lettore. Fino alla disperata fine.
Verso la fine del libro troverete una brutta sorpresa, l'Autore si ammala di febbre tifoide e muore lasciando incompiuta l'opera che verrà ripresa dall'amico Salvatore Farina.
Ecco, questa è la parte del libro che mi è piaciuta decisamente meno in quanto ho trovato evidenti differenze di stile e di pensiero; sicuramente, Salvatore Farina avrà fatto di tutto per immergersi nel racconto, ciononostante la fine della storia è decisamente poco interessante ma resta comunque un bel romanzo da leggere. Un romanzo sui generis nel panorama letterario italiano, che vi consiglio, decisamente, soprattutto se siete amanti di forti passioni e personaggi dall'animo tetro e mortifero.
(Luisa Debenedetti)