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L'anno dei fuggiaschi
di Sunjeev Sahota

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    Casa Editrice: Chiarelettere - 506 pagine
    Disponibile in formato cartaceo e ebook




  • Genere: Narrativa straniera

    Trama:
    Un anno in Inghilterra, quattro stagioni travolgenti vissute attraverso gli occhi di tre ragazzi indiani in cerca di un futuro diverso: l'Inghilterra è una promessa, il passato un peso da cui liberarsi. Dietro di loro lasciano un Paese in radicale cambiamento, sconvolto dai conflitti civili e troppo spesso governato da un codice morale pieno di pregiudizi. Costretti dalle circostanze a condividere la stessa casa di lavoratori irregolari nella città di Sheffield, sospinti dalle loro aspirazioni, dall'amore ma soprattutto dalla necessità di sopravvivere, i tre giovani affrontano una vita quotidiana spietata in cui la fuga, lo sfruttamento, il lavoro massacrante minacciano ogni giorno di privarli anche dell'ultimo briciolo di umanità. Sarà l'incontro con una giovane e misteriosa donna sikh, cresciuta a Londra e animata da un'incrollabile volontà di aiutare il prossimo, a cambiare nuovamente il corso dei loro destini. Decisa a riscattarsi da una tragedia del passato, entrerà a contatto con il mondo brutale della clandestinità, che le lascerà dentro tracce indelebili.

    Recensione:
    "L'Anno dei Fuggiaschi", dello scrittore indiano Sanjeev Sahota, è un lungo romanzo di ricerche di lavoro, ricerche spirituali, dolore e sofferenza. E' più una relazione che una storia, il risultato è un lavoro un po' impegnativo che può essere difficoltoso leggere a causa del fatto che c'è molto, molto, del Punjabi in questo romanzo tanto che a volte la storia sembra quasi bilingue, con il gergo e la terminologia indiana che si riversano dal suo dialogo alla sua narrazione. Le crepe politiche e socio-economiche si frammentano in tutto il romanzo, ma da esse emerge una storia sulla scoperta di sé, sulla reimpostazione del nostro passato come se non fosse interamente nostro e ci costringesse a ricominciare da capo.
    L'opera potrebbe anche essere classificata come un romanzo politico reattivo, ma in questo caso la preoccupazione di Sahota non è il fenomeno dell'ascesa in Gran Bretagna dell'islam reazionario, ma l'esperienza di migranti indiani che lottano per costruirsi là una vita. L'autore si avvicina a questo tema offrendo un resoconto in terza persona delle vite di tre uomini indiani: Tarlochan, Randeep e Avtar, che abitano in una casa piena di colleghi lavoratori migranti, e di una donna indiana-britannica, Narinder. Le storie dei quattro giovani immigrati, tre dei quali illegalmente, sono intrecciate. Il racconto si muove avanti e indietro tra le loro difficili vite in India e a Sheffield. La spinta narrativa del romanzo, nel suo insieme, non è immediatamente chiara e il ritmo all'inizio è lento. Si tratta solo di una fetta di vita dei lavoratori migranti nel Regno Unito? C'è una trama coesiva che lega insieme i retroscena separati di questi personaggi? Queste preoccupazioni svaniscono abbastanza presto, tuttavia, dal momento che il lettore si preoccupa profondamente di questi personaggi accuratamente disegnati. Lo stile di Sahota è sottile, per lo più trasparente. Le frasi sono pulite e ben costruite, consentendo al lettore di dimenticare la sua presenza autoriale e pensare alla natura urgente della storia. Le storie dei quattro personaggi si uniscono in un modo indimenticabile.
    Sahota ci introduce alle loro storie concentrandosi alternativamente sulla vita e sulla storia che ha spinto ciascuno di loro in una vita che è soffusa dalle angosce gemelle di incertezza e speranza. Leggiamo a lungo di Tarlochan, un chamar ("intoccabile") e il suo tentativo di fuggire da una condizione di schiavitù in un'India in cui vige un rigido sistema di caste; di Avtar e Randeep, le cui incerte vite in India, minacciate dall'ignominia e destabilizzate dal desiderio, li incoraggiano a perseguire la propria vita in Gran Bretagna; e di Narinder e della sua lotta per riconciliare la schiera di ideologie concorrenti - di dovere civico, virtù religiosa, rettitudine culturale e il proprio senso di decenza morale - che si uniscono nella vita che conduce come un indiano-indiano che è anche un sikh devoto.
    La questione delle responsabilità sostenute dai cittadini delle nazioni più fortunate del mondo nei confronti di quelli provenienti da altri paesi è al centro della storia di Narinder, ma è raccontata nel modo più intimo, come una questione che non è teorizzata ma profondamente provata.
    E tra ciascuno di questi episodi torniamo a Sheffield.
    Questo modo di strutturare la narrativa, può essere difficile da gestire con successo: con ogni capitolo lo scrittore deve re-incantare con successo il lettore, ma Sahota, alla fine, riesce a farlo: la storia di ogni personaggio è ricca e accuratamente immaginata, e aggiunge profondità al racconto delle vite faticose e frustranti che vivono in Gran Bretagna.
    Nel corso della lettura le relazioni tra i personaggi crescono più aggrovigliate e le loro situazioni diventano più tese. Frasi come "matrimoni truffe", "lavoratori illegali", "abuso di visti studenteschi" sono collocate nel contesto di vite piene di amore e disperazione. Il libro non dovrebbe essere letto solo per la sua dignità ma anche per le sue qualità letterarie. Sahota è uno scrittore che sa come trasformare una frase, come illuminare una scena, come farti stare sveglio fino a tarda notte per vedere cosa succede dopo.
    Questo è un romanzo che affronta le domande più grandi e brilla ancora nei suoi più piccoli dettagli: l'incontro tra un solitario vecchio inglese e il ragazzo indiano di un call center con cui fa amicizia al telefono, senza mai immaginarsi che il ragazzo possa arrivare alla sua porta di casa; l'incomprensione di una donna che pensa che un uomo la stia deliberatamente snobbando quando la realtà è che non è in grado di leggere i messaggi che lascia per lui; l'impossibilità dell'amicizia tra i giovani che lottano per essere quelli che afferrano gli scarti lasciati da altri.
    Attraverso queste storie e altre storie, Sahota sposta alcune delle questioni politiche più attuali lontano dalle posizioni retoriche e dalle statistiche contestate, nel regno dell'umanità.
    E' un romanzo brillante, che illumina di una lunga e costante luce gli oscuri recessi del casteismo indiano, del razzismo e dell'ipocrisia, che non si preoccupa troppo di come l'inglese si occupi dell'arrivo di immigrati clandestini che fanno letteralmente il lavoro sporco. L'attenzione è focalizzata su come gli indiani trattano gli altri indiani e su come i loro comportamenti e pregiudizi migrino con loro e vengano replicati nuovamente in terra straniera. E all'interno di questo focus è il ruolo specifico che la comunità punjabi gioca nelle sue interazioni con i clandestini. L'utilizzo del termine "fuggiaschi" del titolo è un dispositivo geniale per commentare ricchezza, classe, privilegio e pregiudizio.
    C'è anche un cameo italiano: l'appellativo di "Ronnie Stecchino" dato a Randeep in un passaggio della narrazione.
    Consigliato.
    (Luisa Debenedetti)



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