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Acheni al vento
di Michele Caiati

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    Casa Editrice: Pubblicazione indipendente - 314 pagine
    Formati disponibili: cartaceo e ebook




  • Genere: Narrativa

    Trama:
    "…e tra milioni di cose ormai svanite sono rimasti cinquecentocinquantamila pugni presi in faccia che hanno lasciato il segno in un cuore che batte il palpito della speranza, che sembra quasi una sfida alla sventura." E' la storia di Ninì, "nato il terzo giorno di un maggio di neve, e si dice che maggio sia il mese delle rose". La vita gli si presenta subito pungente e acre come la sua terra. Il giovane Ninì cresce e si forma tra la solitudine, l'abbandono e la meschinità sociale e da voce a un accorato appello all'indignazione. Il pensiero del protagonista, ironico e autentico, accompagnerà il lettore tra le "viuzze" dei suoi vissuti e tra le tempeste a mare aperto. Dubbi paure incertezze accompagnano il suo viaggio di formazione: capiterà qualcosa altrove? Certo perché la vita è una singolare parabola morale e insieme un'opera di genio.

    Recensione:
    "Acheni al vento" di Michele Caiati è un romanzo caratterizzato da una struttura complessa e suggestiva, all'interno della quale convivono dialoghi, riflessioni, lettere, pagine di diario, brani descrittivi e narrativi, che si alternano e si intrecciano a citazioni più o meno evidenti di scrittori (Dickens, Omero, Woolf, Dostoevsky, Dante, Melville, Bradbury, e altri) e cantautori (De André, Guccini, Finardi, Fossati, Fortis...). Si potrebbe definire una metanarrazione, l'Autore chiama spesso in causa i lettori con l'appellativo di "ragazzi" ed il protagonista Ninì, a volte repentinamente, passa a parlare dalla prima alla terza persona.
    La trama del libro che si svolge quasi vertiginosa, con racconti del passato e di un presente in costante movimento e trasformazione, riesce quasi a confondere il lettore, la narrazione getta continui argomenti, legami, supposizioni nel corso del suo svolgersi e quando sembra esservi chiarezza tutto cambia di nuovo.
    La struttura metanarrativa acquista la caratteristica di un "mettre en abîme"(messa in abisso) quando vi vengono incastrati tratti topici del romanzo gotico, fino a confondere i piani della narrazione, in cui la tipica nebbiosa campagna inglese cede il posto a paesaggi "nostrani", questo cambio permette al lettore di assaporare quel brivido che coglie quando, da una strada soleggiata e tiepida si entra in un luogo in penombra e assolutamente poco rassicurante, come può essere una stanzetta seminterrata, un obitorio, un mare in tempesta e compaiono figure fantasmiche, spettrali o alter ego che accompagneranno il protagonista fino all'età adulta.
    Molte delle situazioni hanno un gusto intimista che sfocia nel contesto misterioso del soprannaturale, lo completano e lo rendono comprensibile al lettore, il quale saprà cogliere le intenzioni di Caiati nel voler far risaltare la forza dei buoni sentimenti in mezzo alle sventure più temibili, siano esse dettate dagli eventi naturali o dalla crudeltà personale dei familiari del protagonista Ninì.
    Non c'è poesia, non c'è romanticismo nelle pagine che narrano di un bambino/ragazzo al quale accadono una serie di disgrazie, una dietro l'altra. L'animo umano viene presentato in tutta la sua brutalità. I cattivi sono decisamente sopra le righe, sono persone orribili per i sentimenti che provano e le azioni che compiono. Di contro, i buoni, secondo un dettato tipicamente dickensiano, sono rappresentati forse un po' troppo buoni.
    A volte le reazioni di Ninì non corrispondono alle azioni che avrebbe avuto un bambino, lo fanno apparire o più piccolo o più grande, è probabilmente una scelta dell'Autore, per far sì che il divario tra bontà e cattiveria risulti ancora più evidente. Non esiste nemmeno una vera e propria redenzione e coloro che provano a fare del bene finiscono in malo modo e tutto il bene operato viene spazzato dalla povertà e aridità di spirito di chi gli succede.
    E' singolare la scrittura quando Ninì esprime la sua rabbia: un susseguirsi di parole e frasi senza punteggiatura, un'esplosione verbale incontenibile.
    La narrazione di Caiati, appare a tratti decontestualizzata; mancando un dove e un quando immediatamente individuabili, sembrerebbe parlare di archetipi, cui ognuno può dare i connotati che sente più rappresentativi.
    La prima paura che si incontra, nella vita e in questo romanzo, e che credo di poter affermare ha accomunato ciascuno di noi, è quella ancestrale della perdita della madre ovvero del rifugio e dell'abbraccio. Perdita che è reale per Ninì e che viene temporaneamente alleviata dall'adozione da parte di Angela e Gaetano, il cui affetto riesce a ridare un senso alla sua fanciullezza, sebbene poi questo senso si riveli per quello che è, un altrove timoroso minato dalla provvisorietà, che riesce tuttavia a rivelare la vera e profonda essenza di quel che si chiama "famiglia": l'amore e l'appartenenza.
    Questa provvisorietà fa ricadere Ninì tra le braccia di vincoli importanti per la crescita ma sempre più emendati dal sentimento, e dal sentimentalismo. L'ambiente è generalmente ostile, come se ci fosse una sanguinosa guerra civile in corso in cui molti degli adulti hanno animi ombrosi e corrotti. Si creano in tal modo nuovi legami, oserei dire crudi, anche audaci, in grado di spingere in alto, ma anche in abissi di oscurità, di prova e abbandono. Abissi in cui si perde, definitivamente, il cuore per poi ricucirselo addosso come si può, il come lo si è dovuto imparare in fretta così che spesso si ritrova a battere, incompreso, da una parte del petto che parrebbe sbagliata ma che, nell'intimo, si intuisce essere un cedimento necessario, ineluttabile.
    Ad un certo punto Ninì sembra incontrare di nuovo l'appartenenza, collocata in un materno deprivato, si sente dalla parte del giusto, del vincitore, ma il prezzo pagato è alto, è un legame che resta pencolante, come cavi dell'alta tensione recisi da un violento temporale. Urge riallacciarli, è necessario ma è pericoloso, perché possono restarvi appese parti di sé.
    Nel finale la narrazione torna al luogo di partenza, sfigurato: cosa resta dei ricordi d'infanzia dopo che con essi si è combattuta una guerra, sicuramente coraggiosa, ma ingiusta se collocata in un ambito differente? Ritornare nel luogo d'origine, ingenera una paura speculare, come una vertigine, quella di sentirsi in pace solo nella sopraffazione, amare l'ebbrezza estrema dei gesti forti e risolutivi, cui fa da corollario il terrore della non vittoria, di arrivare a piantare la bandiera della propria appartenenza su un terreno usurpato, sul quale ancora ci sono i segni, a indicare il prezzo pagato per il trionfo, duplice e beffardo, definitivo ed effimero. Nella parte dell'età matura, del raccolto e del riposo, fa capolino un'altra paura umana, quella terribile del non appartenere, del non essere appartenuti, e basta un fioco lume in lontananza per far accorrere a rinsaldare legami familiari mai spezzati.
    Un libro che vive e pulsa accanto al lettore, lo rende partecipe e dopo l'ultima pagina si colloca direttamente nel vissuto, come una esperienza, anche dura, ma necessaria.
    Purtroppo devo segnalare un po' di prolissità e qualche piccolo errore (si tratta di rari episodi presumo sfuggiti alla rilettura) che insinua il fatidico granello di polvere in un buon meccanismo.
    Voglio ancora soffermarmi sul titolo, gli acheni sono i frutti del soffione, quelli su cui i bambini si divertono a soffiare e che si lasciano trasportare dal vento, così da intraprendere un nuovo viaggio per la vita.
    Il loro percorso rappresenta la metafora perfetta della vita di Ninì e dei suoi fratelli, Giovanni e Lia: per poter fiorire, devono staccarsi dalla propria origine, affrontando il proprio viaggio senza paura, pronti a lottare contro le intemperie e a cogliere ogni opportunità gli venga offerta.
    (Luisa Debenedetti)



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