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Spacca l'infinito.
Il romanzo di una vita

di Piero Pelù

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    Casa Editrice: Giunti Editore - 276 pagine
    Formati disponibili: cartaceo e ebook




  • Genere: Narrativa

    Trama:
    Piero Pelù il rocker, l'attivista, l'anarcoide, il brado, Piero Pelù il cantante, "el diablo", il pugile, il gigante: ebbene, dimenticatevi tutto questo e preparatevi a partire. Sì, perché in questo libro P. scende dal palco, spegne i riflettori e ci invita a viaggiare insieme a lui, con il coraggio di aprire la porta della memoria e di avventurarsi fino a dove tutto ha avuto inizio. E appena si ferma per un momento a riposare, ecco che accanto a lui appare un ragazzino intraprendente, originale, pieno di domande. Seguendo il dialogo tra l'uomo e il bambino attraversiamo la storia italiana - dalle trincee della Prima guerra mondiale agli anni del Fascismo, da quelli della Guerra fredda fino al disorientamento dei nostri giorni - e quella di un ragazzo pieno di sogni, che in uno scantinato sul Lungarno ha cominciato a credere in se stesso e da allora è andato lontano. A ogni pagina incontriamo personaggi indimenticabili, sorridiamo, ci commuoviamo, e ogni volta che cala la sera sentiamo di aver raggiunto una consapevolezza nuova: chi non si arrende riesce sempre a conquistare ciò che conta davvero; chi sa affrontare le difficoltà con determinazione e ironia non ne esce mai davvero sconfitto, e se anche imbocca una strada sbagliata, quella lo porterà a scoprire qualcosa di sorprendente. Ma soprattutto, questo libro ci racconta una vita vissuta al fianco di una delle innamorate più esigenti: la dea musica, che va amata e alimentata ogni giorno, perché la routine è la sua peggiore nemica. E perché la musica, come l'amore, è uno dei modi più strepitosi per cambiare il mondo. Al bambino che è stato P. confessa: "Se mi fossi dimenticato di te non sarei stato felice nemmeno un minuto". Così Spacca l'infinito non è solo il verso di una canzone, ma anche l'invito rivolto a tutti a non perdere lo stupore e la fiducia in un universo dove tutto, a saperlo ascoltare, canta insieme a noi.

    Recensione:
    "Spacca l'infinito" di Piero Pelù è la scoperta del lato inedito, nascosto, indiretto e salutare, o salutifero di un rocker egocentrico, parossisticamente entusiasta e spesso scomodo.
    Potrebbe far pensare ad un'autobiografia molto autocentrata, una sorta di autofiction, invece è tutt'altro.
    Seduto su una panchina negli splendidi giardini di Boboli, solo, durante la pandemia che ha falsato la struttura del tempo, Piero si trova a dialogare con un bambino curioso, a volte indisponente e racconta, libero dai vincoli dell'ermetismo di sintesi del verso da abbinare alla melodia, modula la sua vita, le sue emozioni, le sue aspettative, le sue paure, facendo diversi passi indietro, nascondendosi completamente dentro al personaggio di P., parlando in terza persona, senza avere quell'oppressione, quel senso, anche un po' imbarazzante, dell'esibizionismo, del mettersi a nudo, che si ha quando si parla più direttamente di se stessi. Proprio perché ha nascosto, sublimato, in termini di storia altrui, tante pulsioni, la scrittura di Pelù risulta coinvolgente, piacevole e ariosa; è una sorta di lessico famigliare, corredato da numerose foto scattate negli anni, che attraversa la storia italiana dalla grande guerra ai nostri giorni disorientati, potrebbe essere definito una sorta di romanzo di formazione ma qui vorrei fare una considerazione.
    Nel romanzo di formazione contemporaneo, come per esempio "Il giovane Holden", la maturazione del protagonista avviene essenzialmente attraverso un percorso di disillusione e di frustrazioni vuoi lavorative, vuoi amorose, vuoi nel rapporto con i genitori; in questo lavoro c'è questo ed un percorso per certi versi opposto, vitalistico, una sorta di iniziazione primitiva alla vita in cui lo status di adulto viene guadagnato anche dopo avere superato ostacoli, avere rischiato, avere "tradito" le aspettative della famiglia a cui Pelù è molto legato, in nome di una passione, in questo caso la Dea Musica. Iniziazione è una parola giusta: ci si inizia alla vita adulta perdendo l'innocenza, perdendo il candore, perdendo l'ingenuità, perdendo la verginità d'animo. Nel caso di P. però, Pelù ha cercato di non farlo crescere troppo, di tenerlo per quanto possibile ancora bambino: gli succedono tante cose, ma alla fine del libro è ancora il P. dell'inizio. Ha cambiato status, non è più uno sconosciuto, ha sfogato sul palco gli anni delle umiliazioni subite soprattutto a scuola, è diventato famoso, è padre e nonno ma non ha perso la curiosità del mondo, l'amore per il mondo e la sua salvaguardia, il senso di stupore a di avventura del viaggio, continua a "non mollare mai", ad avere lo stesso tipo di comportamento, anche irresponsabile e inconsapevole, che aveva all'inizio della storia. L'espressione "romanzo di formazione", in fondo, mi ha sempre dato una sensazione di oppressione, come se volesse stabilire l'onere di una crescita, di una maturazione, e siccome maturare significa sostanzialmente invecchiare, trovo che in questo caso il cambio sia più a perdere che a guadagnare. P./Piero ha imparato la critica, l'arte della distinzione, l'arte della separazione, le gerarchie, le differenze ma ha conservato in sé il bambino onnivoro che mette tutto insieme, Giulio Cesare, un pirata o qualsiasi personaggio di fantasia; mentre il ragazzino che sente l'onere della crescita diventa un piccolo omino che studia, e deve scoprire chi è più vicino al centro e chi alla periferia. Quindi, suo malgrado, compie un'opera sanguinosa, perché è critica e censoria. Poi però, una volta arrivato alla fine dell'indagine, si prende il lusso di annullarla, perché recupera e riabbraccia ecumenicamente tutti quelli che aveva man mano eliminato e scartato.
    Per quanto riguarda il senso finale del racconto, è più importante l'ultima pagina di tutte le altre. E' come aver imparato a mangiar bene in punta di forchetta e poi dirsi: "Bene, adesso so le regole quindi quando capiterà di essere invitato dall'ambasciatore potrò mangiare come si deve, però a casa mia preferisco mangiare il pollo con le mani". Si tratta di imparare qualcosa per avere il lusso, in un certo senso, di regredire. All'infinito, come in "Gigante" la canzone dedicata al nipote:
    "Tu sei il re di tutto e di niente… gigante
    Spacca l'infinito e rubagli un minuto al mondo, mondo
    Per fare un castello volante
    Con la fantasia di un bambino… gigante
    Gigante…"
    (Luisa Debenedetti)

    Citazioni da questo libro:
    (...) ho capito che Itaca, Beatrice, il pastore errante dell'Asia, gli ossi di seppia, d'autunno le foglie, la Toccata e fuga in re minore e la trigonometria sono tutti un po' la stessa cosa: attaccamento e amore per la vita raccontato da punti di vista, da esperienze profonde, da viaggi mentali totalmente diversi e solo apparentemente disconnessi.

    Fu sul sedile posteriore della macchina più floreale che avrebbe mai visto nella sua vita – anche se lui ancora non lo sapeva –, in braccio a una tenera ragazza che profumava di patchouli ed erbe misteriose – ma anche questo lui non lo sapeva ancora – che Piero imparò una delle lezioni più importanti della sua vita: i diversi, gli "inutili", gli strani, gli ultimi secondo la società dei "normali", spesso sono gli unici disposti a darti una mano quando sei nella merda fino al collo.
    Fu così che P. scoprì il fascino e la scomodità dei rischi del viaggio.

    Intanto, prima di Pietro e Giovanni, a Guglielmina era arrivata a casa la notizia che un ragazzo era morto poco lontano da lì. Era steso per strada in una pozza di sangue, se ucciso dai partigiani o dai tedeschi nessuno sapeva dirlo. E nessuno aveva nemmeno il coraggio di andare a vedere chi fosse per paura del cecchino. Ma la corporatura, l'altezza, i capelli, tutto diceva che quello era suo figlio Giovanni.
    Quando lo vide arrivare sulle sue gambe, la Guglielma pensò di essere impazzita per il dolore. Ma quando lo abbracciò, capì che era solo felicità quella che le stava facendo scoppiare il cuore. (E finché potrà, Giovanni continuerà ad andare sulle Apuane alla tomba di quel ragazzo che non era lui e con il quale, non saprà mai dire bene il perché, si sentirà per sempre in debito).

    Il suo primo viaggio in treno verso la Francia era stato davvero elettrizzante. Tutte quelle ore da riempire con libri da leggere, partite a carte con suo fratello, esplorazioni su e giù per i vagoni; le cuccette che l'addetto aveva sganciato dalle pareti dello scompartimento; addormentarsi facilmente con il rollio del treno e il ticchettio della tendina che sbatteva nel finestrino: era stato tutto così fantastico, che se gli avessero detto che la vacanza era il viaggio e basta e ora si saliva di nuovo su un treno e si tornava a Firenze, a lui sarebbe andato bene lo stesso.

    Non è assurdo come certe volte sia impossibile distinguere la fantasia dalla realtà? Sapere cosa sia sogno e cosa vita vissuta, personaggi immaginati e persone reali?

    Essere nomade per spirito, per lavoro, per scelta, significa sentirsi a casa in ogni parte del mondo. Perché il mondo è la casa di tutte le case.



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