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Genere: Poesia

Trama:
Una raccolta che è un invito a vigilare, a non perdere l'essenza dell'essere uomo e a non cedere, passivamente, agli ammiccamenti e ai ricatti della modernità. Versi intimi, realistici e distopici, permeati dalla costante ricerca della Ragione e della Bellezza del passato, del presente e del futuro. Versi che sono pianto, urla, gioia, dolore, paura, rassegnazione, sconforto e speranza. Versi che guardano al futuro e che lo scorgono differente... Poesie che sono libertà e prigionia; vita e morte; mancanza e abbondanza.

Recensione:
"Crepuscoli e benzodiazepine" è una silloge di Beda, pseudonimo dietro cui si cela un Poeta che mi ha colpito, tra le molte cose, per l'uso di un simbolismo molto forte.
Ci sono poeti che incarnano nei propri versi lo smarrimento del proprio tempo, l'orrore, l'inadeguatezza, l'imbarazzo dello stare al mondo, Beda è tra quei poeti che oscillano tra l'alba e il crepuscolo e che, inevitabilmente, scelgono il crepuscolo, rischiando di precipitare nel crepaccio, nell'abisso. E' la sensibilità dell'uomo fragile, del vaso di coccio tra i vasi di acciaio, di chi nasce già incrinato e destinato a infrangersi troppo presto.
La poesia di Beda è una poesia di colori, sfumature, tinte, ombre tenebrose e luci brillanti, è ricerca ossessiva di senso, di verità, di bellezza, che si conclude quasi sempre in vicoli ciechi, cunicoli senza luce né risposta.
La solitudine incide profondamente nell'anima del Poeta, scrivere in versi diventa così un appiglio a cui aggrapparsi per cercare un equilibrio interiore attraverso cui cercare di scavare in se stesso, si affida all'ispirazione poetica per dare sfogo a quel bisogno costante di comprendere il senso delle cose. La lettura delle composizioni di Beda mi ha confermato ciò che la mia insegnante di lettere affermava: la poesia non va "capita" ma captata, penetrata; è come entrare in una cappella in cui l'incenso offusca la vista. Si alza un canto, in lingua nota eppure aliena, che parla di vite a venire, di un'infanzia accaduta millenni fa e le mura non reggono a quel canto che le infrange come un urlo acuto fa con il cristallo.
Azzardo ad affermare che Beda mi appare come un profeta che non proviene dal deserto ma dalla foresta del trauma, si insinua tra ambasciatori onirici e noi, immersi in una società assuefatta ad una visione artificiale del mondo anestetizzato (le benzodiazepine del titolo). Attraverso la lettura ci sembra vedere il retro del creato: il demone che gioca con le ombre che ai nostri occhi sembrano la realtà.
Ho percepito la voce di Beda come quella del tempo di un dio morto, della lacerazione, delle vittime, della solitudine, del vagabondaggio: è straniero in patria non perché appartenga a tutto il mondo, ma perché non appartiene a nessun luogo. Lo squarcio è insito nel suo essere, si cela sotto pelle e, con le sue originali cadenze, aperte nella loro esattezza, sarà di costante aiuto lungo un cammino proposto eppure, in qualche modo, già nostro: è tipico del vero poeta riferirsi con peculiari parole alla vita propria e a quella di tutti?
Sì, e Beda mostra di saperlo bene.
(Luisa Debenedetti)

Citazioni da questo libro:
Quando la fatica di tenere in ordine la vita
diventa ingestibile, e i passi cadenzano
i sotterfugi del tempo maestro imparerò a vivere sapendo di dover morire
senza aver fuga, nemmeno scrivendo.

Qualcuno ha preso la Bellezza,
e l'ha stesa asciugandone la linfa sulle strade di questa città.
(...)
I momenti sono tali perché passano,
e lasciano solo ombre non vissute, forme proiettate che non contengono
nulla se non il grigiore del non sapere.
Quella Bellezza non è mai stata un momento.

Sono uomo,
uomo e basta,
un piccolo cosmo
in un oceano infinito.

Il dolore è monarca di anfratti nascosti
e abita in costruzioni di pietra
in perenne risalita al cielo,
prigione del pensiero e della fantasia.

Il Poeta non esiste,
quando i sogni non alzano muri
e non sparigliano parole a caso.
(...)
Il Poeta esiste precostituito
come un Dio primo nel vedere
ma ultimo a salvarsi davvero.



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