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Mi senti?: Trattato sull'Architettura come Comunicazione Umana
Maurizio De Caro

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    Casa Editrice: Il Quadrante - 157 pagine
    Disponibile in formato cartaceo e ebook




  • Genere: Saggi

    Trama:
    Questa pubblicazione atipica dal titolo Mi senti? è un Trattato sull'Architettura come Comunicazione Umana. Un trattato non è un saggio e la differenza è esplicita. In Mi senti?, Maurizio De Caro propone una visione filosofica di un lavoro complesso, un biglietto da visita che identifica un'entità professionale visionaria allargata dell'architettura, che rende necessario questo Trattato.
    Il testo parte dalle ricerche di antropologia strutturale di Lévi-Strauss e dagli archetipi di Elémire Zolla e si estende a un'analisi comparata del contesto socio-politico, economico, culturale nel mutamento di comunicazione dell'attuale realtà sociale.
    Il comportamento e il talento, il pensiero e il ragionamento si integrano e il testo evoca immagini che volutamente non compaiono. Le citazioni subiscono una transustanziazione di inusuale forza divenendo suono e parola che sono, per l'autore, fondamento concettuale per un'unica comunicazione di verità.
    Possiamo chiederci: esiste una sola verità?
    Questo Trattato sull'Architettura come Comunicazione Umana è un tentativo di discussione, un progetto di speranza sul futuro e sulla volontà di rinascita di una disciplina sull'orlo di una irreversibile crisi culturale.

    Recensione:
    "Mi senti?" di Maurizio De Caro è, come sottolineato dall'autore, un trattato che espone, anche provocatoriamente, riflessioni ed esplorazioni filosofiche sulla sua personale modalità di intendere, sentire e "far sentire" l'architettura superando le banalizzazioni dell'architettura contemporanea, si appella all'emozione dell'ascolto del suono primordiale del mondo, perché "il silenzio conserva la memoria di tutti i rumori che l'hanno attraversato". Così scrive nelle sue disquisizioni, frammenti narrativi che rispecchiano il suo pensiero che si avvale di discipline, tecniche e linguaggi diversi. Il rapporto con la filosofia è storicamente naturale, quasi che questa fosse una visione complementare sul mondo rispetto al suo operato: finché l'evoluzione della società avveniva in modo relativamente lento, attraverso sedimentazioni di usi che diventavano convenzioni sociali, di pensiero, di stile, i significati erano decifrabili perché si condivideva un sostrato convenzionale. Ma nell'ultimo secolo qualcosa è cambiato. Le correnti durano pochi anni: poi passano, come le mode, spesso senza lasciar traccia tranne edifici ovviamente già superati. Così, spariscono le teorie dell'architettura, cioè sistemi che dicano cosa sia giusto costruire. E senza una teoria che legittimi le scelte, fioriscono le retoriche e le poetiche personali, spesso così ridicole da essere persino (e giustamente) oggetto di satira. La condizione di fragilità dell'architettura contemporanea è ormai fisiologica. Ed è qui che la filosofia diventa non solo utile, ma necessaria. L'esplorazione filosofica serve per ragionare su temi che, in qualche modo, toccano gli architetti, ad esempio: lo spazio, l'invenzione, la città, la generazione della forma, il potere. Capire qualcosa di quei temi aiuterà a progettare con una maggior consapevolezza, o una più approfondita convinzione sulle ragioni del progetto, e a capirne meglio effetti ed esiti comunicativi.
    Ma De Caro non si ferma qui, comunica come sia necessaria un'educazione del pensiero al senso profondo dell'armonia e al suo reale significato e, per quanto riguarda l'aspetto pratico, alla sperimentazione e al riconoscimento, a vari livelli di manifestazione, di questo senso dell'armonia, risvegliandone in questo modo l'autentico e insopprimibile bisogno che è racchiuso nell'umano. E' un'armonia che richiede la nostra partecipazione attiva, il nostro contributo costante e nessun modello d'esperienza come quello musicale ce lo può far comprendere in maniera così evidente e tale da toccare le parti più profonde del nostro essere: non si tratta di una condizione di immobilità estatica, non è niente di tutto questo, anzi, si tratta di una realtà dinamica e mutevole, nella quale dobbiamo imparare ad essere e a muoverci. Come nella musica una successione di accordi consonanti può, alla fine, risultare stucchevole o una serie di dissonanze senza risoluzione può irritare, anche nella vita/architettura, l'armonia nasce dal dialogo tra consonanza e dissonanza, tra pause e silenzi, tra rumore e suono… Il musicista e uomo di pensiero a cui l'autore fa riferimento è John Cage, al suo percorso fatto di sperimentazione e casualità, organizzazione del suono e aleatorietà, astrazione e neorealismo, gestualità e autonomia del suono inteso come una delle due modalità di presenza del silenzio.
    Verificato l'effettivo parallelismo negli sviluppi di musica e architettura, che, nonostante abbiano affinità anche con le altre arti, sono tanto vicine da avere in qualche modo la stessa origine nell'armonia delle sfere celesti dell'antica filosofia greca (e qui si torna al legame architettura-filosofia). In tutte le epoche seguenti la corrispondenza tra di esse si è mantenuta, che fosse nella struttura armonica o melodica, nel ritmo o nell'espressione. Nell'epoca contemporanea sono molte le sperimentazioni fatte con lo scopo di mostrare la presenza della musica nella progettazione di un'opera architettonica, a volte forzosamente ricollegata ad una determinata composizione musicale. De Caro, come fa Virgilio con Dante, ci guida a scoprire che la vera essenza è nella spiritualità umana, nel profondo della mente dell'artista, in quel punto dove la creatività nasce e si sviluppa o in musica o in architettura, in quel punto che i Pitagorici educavano all'armonia.
    De Caro è tutt'altro che indulgente con gli architetti contemporanei, secondo lui servi compiacenti e vanesi del potere economico di cui ne rispecchiano vizi e virtù, chiusi nella loro torre d'avorio, volutamente incompresi e sordi nei confronti della quotidianità, ma così "l'idea muore, non ha ossigeno, soccombe sotto la mediocrità elevata al rango di talento e la politica vuole architetti e artisti semplici e leccaculo perché danno poco fastidio, l'atto immaginifico è un disegno che ha la forza di una puntura d'insetto, e questo serve a questa società di servi".
    In fondo è un trattato d'amore di un autore un po' visionario, nei confronti dell'architettura intesa come pensiero innovativo che può riconfigurare il mondo, a cui offre le sue idee lasciando i fruitori liberi di contaminarle e interpretarle, perché lo scopo ultimo e fondamentale è quello dell'esperienza multisensoriale di farsi "sentire". I 42 lemmi che compongono il trattato, possono essere letti senza seguire un ordine preciso e si prestano a molteplici interpretazioni e chiavi di lettura; in questo modo, paradossalmente, il lettore diventa egli stesso autore; sono frammenti di suggestioni emotive, pensieri eccentrici e concetti scritti non solo per gli addetti ai lavori. Personalmente, consiglio la lettura di questo sofisticato trattato umanista: redige un progetto di comunicazione che trascende o "rompe la barriera" dei confini di matrice fortemente critica, che parla poco di architettura e molto di altro per affondare con spirito dialettico una lama nella ragione dell'esserci qui e ora nel mondo, per sentire il senso dell'architettura, perché siamo ciò che sentiamo e lo spazio in cui lo ascoltiamo.
    (Luisa Debenedetti)



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