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Il mattino dopo
di Giorgio Pulvirenti e Marco Negrone

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    Casa Editrice: Pubblicazione indipendente - 287 pagine
    Formati disponibili: cartaceo, ebook e audiolibro




  • Genere: Romanzo storico

    Trama:
    1957. Justin è un giovane adolescente che vive a Montauban, un piccolo paesino immerso tra le campagne del sud della Francia, assieme ai suoi genitori adottivi. La guerra è finita da diversi anni ma ha lasciato ferite profonde sul corpo e nella mente di Benjamin, il padre adottivo del ragazzo, essendo un sopravvissuto del campo di sterminio di Auschwitz. Justin è deciso a conoscere la verità sul suo vero padre e la sua vera madre. Chiede quindi a Benjamin di raccontargli la storia delle proprie origini, che coincide con gli orrori che il padre ha vissuto all'interno del campo di sterminio. Quella che il ragazzo avrà modo di ascoltare sarà una storia forte, cruda, una vicenda che metterà in risalto la tenacia e la caparbietà di un gruppo di ebrei nel trovare un modo per sopravvivere ad una delle pagine più tristi e cruente della storia dell'umanità. Quando tutto sembrerà spacciato, un violino cambierà le loro sorti.

    Recensione:
    "Il mattino dopo" è un bel romanzo di Giorgio Pulvirenti. I libri e le opere sulle atrocità compiute dal regime Nazista si sprecano, e la qualità è decisamente altalenante. Spesso e volentieri, infatti, il rischio è quello di sfociare nel banale, indulgendo troppo negli aspetti più patetici delle vicende narrate: bambini separati dai genitori, protagonisti seviziati e vessati all'inverosimile, in un eterno contrasto buono-cattivo letto e riletto.
    La vicenda inizia in Francia: è in una notte di luglio del 1957 che il giovane Justin chiede a Benjamin, suo padre adottivo, chi fossero i suoi genitori naturali.
    L'Autore si prende tutto il tempo necessario per raccontare per bene questa vicenda. La narrazione procede con passo sobrio e ben cadenzato, Pulvirenti lavora su solide basi per il futuro ramificare della vicenda e presenta con dovizia di particolari i protagonisti, li inserisce nei vari ambienti e li fa muovere sulle tracce della sua immaginazione basata su quanto conosciamo degli orrori del periodo e dei campi di lavoro nazisti. Lentamente, nel dipanarsi delle 233 pagine (249 comprese le note), tutti i tasselli che compongono l'arcano trovano la loro collocazione, vanno ad inserirsi nel quadro finale.
    Il racconto di Benjamin inizia a Parigi nel 1942, dove Alexandre è un fornaio ebreo che vive una vita fatta di fatiche, piccole conquiste, un amore, ma è sempre animato dal donarsi agli altri. La Storia si affaccia prepotente con le sue nefandezze, fatti talmente grandi che tracciano un solco profondo nel cuore di Alexandre ma non velano i suoi occhi e i suoi gesti generosi anche se a volte appaiono ingenui di fronte all'egoismo e all'istinto della salvaguardia personale che prevalgono sullo spirito comunitario.
    La Storia è occasione di enorme sofferenza, in questo caso particolare è la guerra, che pur se fatta dagli uomini, non è mai umana, distrugge le certezze e svelle le vite dall'alveo in cui scorrono. La guerra non è mai umana perché toglie alle vite quanto hanno di umano trasformandole in incubi dolorosi e ferite che, nel caso di Constantine, e di tutti i sopravvissuti ai campi, non smettono di sanguinare anche dopo anni in cui tutto è finito.
    Alexandre aveva una passione: suonare il violino, e per questo in quel mondo ormai marcio e assurdo in cui le persone perdevano la vita solo a causa della propria religione o diversità, gli venne concesso il privilegio di suonare alle feste nel palazzo di Egon Meyer, Comandante di gruppo superiore di Auschwitz, di innamorarsi, conoscere Agnes, la moglie di Meyer, una donna infelice che non approvava e aborriva i comportamenti del marito e di vivere con lei un momento che lo porterà per una notte fuori dall'orrore in cui è costretto a vivere. L'Autore usa un linguaggio semplice ed immediato, tratteggia i caratteri e le personalità a volte anche con amorevole precisione, ricostruisce un mondo che si è perduto con la passione dello storico e la precisione dello scrittore. La vicenda procede attraverso le vicissitudini dolorose, piena di speranza per l'animo umano nei suoi momenti di strazio e porta alla luce corde sensibili dei cuori (anche dove non si immaginavano esistessero) senza cadere in sentimentalismi ma facendo leva sulla purezza del sentire, sulla chiarezza dei rapporti che hanno alla base la generosità verso il prossimo. Il donarsi sembra essere la cifra portante del romanzo, donarsi senza voler apparire, perché è la dimensione giusta che l'animo umano deve avere. Un romanzo che lascia un messaggio di pace nel vedere che le vite non si buttano se vissute col calore dei sentimenti più puri.
    Benjamin è portatore di un carico di speranza e la proietta nelle generazioni future, perché se il dolore appartiene a chi lo vive, la speranza è la bontà di ciascuno sono fari che possono illuminare i giorni a venire.
    Il lieto fine del libro, arricchito dalla comparsa del violino (che personalmente mi riporta a memorie dantesche: il libro di Paolo e Francesca) è come un ottimo palliativo, che ci fornisce una tregua momentanea dall'assurdità del reale; ma in fin dei conti è un finale destabilizzante ad affascinarci realmente, perché è proprio in esso che riconosciamo una parte di noi, la verità di alcune nostre esperienze umane: è ciò che accade a Benjamin e a Justin. Conoscere se stessi vuol dire non soltanto essere consapevoli delle proprie virtù ma anche e soprattutto delle zone d'ombra. Conoscere e riconoscere se stessi vuol dire percorrere in pochi secondi sul solido ponte delle parole gli abissi dell'animo umano, vedere scontrarsi le passioni come i lampi in una notte di temporale e guardare infine salire intorno a tutto questo caos passionale e risvegliarsi il mattino dopo, un giorno nuovo con il cielo più calmo, più puro, più sereno che forse abbia mai registrato la mente umana.
    Al termine della lettura resta l'impressione di aver letto un romanzo dal solido impianto, in cui un linguaggio pacato e misurato (ma non scevro dall'orrore che stigmatizza la vicenda) accompagna il lettore con fluidità attraverso le vite dei personaggi che appaiono solidi, ben costruiti, con una psicologia romanzesca chiara e schematizzata.
    Le storie che dovrebbero essere portate come testimonianza di un passato che "merita" di essere ricordato solo per la vergogna di quello che è stato commesso e che ancora oggi continuiamo, anche se diversamente, a commettere.
    Consigliato anche a giovani lettori.
    (Luisa Debenedetti)



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