Casa Editrice: Pathos Edizioni - 270 pagine
Formati disponibili: cartaceo
Genere: Narrativa
Trama:
Prima o poi capita a tutti: la vita ci mette degli ostacoli sulla strada e a fare la differenza non è tanto come inciampiamo, quanto il modo in cui ci rialziamo. E' esattamente ciò che accade a una famiglia di provincia, in un periodo, gli "anni di piombo", segnato da contrasti e lotte di piazza. Silvia, suo fratello Francesco e la madre Beatrice, provano a reagire alle avversità che si sono abbattute su di loro dopo il suicidio del padre e il tradimento del fratellastro Agostino. Costretti a fare i conti col proprio passato, i protagonisti reagiscono a modo proprio: la madre scaccia i suoi demoni attaccandosi al collo di una bottiglia, la figlia punta tutto sulla bellezza ed è incapace d'amarsi, il figlio ha le tasche dell'eschimo piene di ideali ma è messo di fronte a scelte più grandi di lui.
Recensione:
"Non chiamarmi sorellina" di Cristiana Vigliaron è, contemporaneamente, una saga familiare, un romanzo di formazione e un viaggio nei nostri tormentati anni '70, che lascia qualcosa in più della soddisfazione di aver letto un buon libro a chi è stato giovane in quegli anni.
La protagonista Silvia, suo fratello Francesco e la madre Beatrice, provano, ognuno a modo suo, a reagire alle avversità che si sono abbattute su di loro. In particolare Silvia, bellissima e consapevole di questo, condizionata da traumi del passato e da una relazione sentimentale tossica, disfunzionale e malata, rischierà di perdersi e di rimanere intrappolata nelle circostanze che ella ha contribuito a creare. Nella sua relazione con Dario, Silvia subisce infatti comportamenti nefasti ed abusi che si verificano regolarmente ed in un crescendo di iniquità tanto da indurla a ritenerle azioni normali, nonostante si renda conto che queste la porteranno all'autodistruzione.
Francesco, al contrario, è un ideologo, rappresentante di una generazione che dietro ad un eskimo di poche lire coltiva sogni e speranze mai realizzate e irrealizzabili di una rivolta sociale pacifica; è l'uomo di casa e si sente investito del compito quasi ossessivo di proteggere la "sorellina" Silvia e la madre Beatrice. Silvia, al contrario della madre, si rifiuta di essere aiutata, l'insofferenza all'essere considerata la "sorellina" da proteggere è più forte di lei.
Il romanzo lancia continui richiami all'amor proprio, alla capacità di reagire e guardare la vita da una nuova angolazione.
Ci troviamo a leggere di uno spaccato familiare della provincia piemontese fatta di persone che vivono quel periodo fra il boom economico e gli anni di piombo, passando attraverso i grandi scioperi e la contestazione, gli anni dell'invasione degli elettrodomestici nelle case, delle imprese spaziali e dello sbarco sulla Luna.
I riferimenti storici sono corretti, inseriti al posto giusto, senza enfasi o mitizzazione; fanno da sfondo a una storia famigliare difficile ma plausibile, che vive le sue personali tragedie senza un lieto fine con effetti speciali, ma nella quale la tensione non si dissolve nemmeno nel finale.
La prosa è a tratti dolorosamente realistica, sfaccettata come i personaggi, ottimamente tratteggiati, che il lettore si trova a guardare negli occhi per cercare di scorgervi ancora l'umanità di un quotidiano di cui spesso non rimane traccia, sopraffatto dalla Storia.
Cristiana Vigliaron riesce ad appassionarci dalla prima all'ultima pagina con la storia, con i personaggi molto ben costruiti e... la musica; è brava nel rappresentare una lucida, a tratti poetica, testimonianza romanzata di un'epoca che i lettori dai capelli grigi hanno visto e provato sulla loro pelle, donando un libro che però merita di essere segnalato e letto da un pubblico più ampio, non solo di lettori attempati, ma soprattutto dai giovani che vogliono capire il mutamento antropologico di questo Paese.
Consigliato.
(Luisa Debenedetti)
Citazioni da questo libro:
Ora le cose avevano trovato un loro equilibrio, quel genere di equilibrio che si trova anche nell'infelicità.
In quel momento, se si fossero scattati una foto, avrebbero visto l'immagine di loro tre che sorridevano attorno a un tavolo nell'attesa di consumare il pranzo della domenica. Ma, osservando bene la fotografia, a nessuno di loro sarebbe sfuggito il velo di malinconia impressa negli sguardi abbassati su un piatto ancora vuoto, e la rassegnazione verso un destino con il quale non avevano ancora fatto pace.
"Ormai esistono solo questi metodi, Sergio. Cosa credevi? Che avremmo cantato Bella ciao e parlato di pacifismo mentre quelli dall'altra parte ci prendevano a mazzate? Ci vuole gente pronta a reagire a sua volta, anche con la forza."
Francesco aveva capito che non tutto poteva essere salvato, non tutto si prestava a essere aggiustato. Sergio aveva avuto sempre ragione: "Non puoi farti carico dei problemi di tutti, biondo!". Solo ora se ne rendeva conto.
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