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Genere: Gialli

Trama:
Si può avere una memoria prodigiosa e allo stesso tempo dimenticare tutto: è il destino di Sofia, affetta da una rara sindrome che cancella ogni ricordo vissuto in prima persona. Un problema che crede di controllare, finché il suo più caro amico non diviene vittima di un omicidio irrisolto. Divorata dal senso di colpa, Sofia, per risolvere il mistero di quella morte, dovrà scavare in un passato lontano nel tempo e nello spazio, nella Berlino del 1940, quando tra un ufficiale nazista e una giovane prostituta nasce un legame impossibile, condotto fra ricatti e lotte per il potere.

Recensione:
Sono davvero soddisfatta quando un autore riesce a sorprendermi, a propormi qualcosa di inatteso. Ed inatteso mi è giunto "La gabbia vuota", un bel romanzo di Elisabetta Maurutto che è, se volessimo attaccar etichette, un romanzo giallo. Sì, perché la storia parte da un omicidio avvenuto a Firenze alcuni anni prima del piano narrativo e catalogato come crimine legato all'ambiente omosessuale, di cui l'unico testimone è Hercule, il grosso cane della vittima che entra a far parte della vita di Sofia, la nostra protagonista, alla quale la morte dell'amico Vittorio, stimato critico d'arte, strappò anche un pezzo di vita. Perché "anche"? Perché Sofia, pur avendo una memoria eccezionale, soffre di SDAM una sindrome che non le consente di ricordare i fatti legati all'esperienza ma solo quelli legati alle cose. Questo, in estrema sintesi, lo spunto da cui parte una narrazione intrisa di Arte (fiamminga, in particolare).
Al centro della storia l'amore incondizionato per l'Arte e la sua autenticità che si veste di mistero quando compaiono tele sconosciute di Avercamp e di Vermeer: da dove vengono? Sono vere? Sono state rubate o perse, come le illusioni quando passato e presente si confondono e giovinezza e morte sfidano il tempo?
Nel susseguirsi dei capitoli sfumano i confini tra passato e presente. Il mondo di Sofia finisce per rivelarsi una sorta di microcosmo da cui nessuno può uscire senza perdere o dare qualcosa.
Come abitualmente faccio, non voglio addentrarmi troppo nella trama perché è tutta da scoprire e non vorrei privare il lettore delle sorprese e delle emozioni che questo romanzo riserva. Mi vorrei piuttosto soffermare sulle indiscutibili doti di narratrice della Maurutto.
Il romanzo è narrato con un linguaggio preciso, scandito dalla tensione e intervallato da pause di vita quotidiana, crea un tessuto narrativo che fa sentire il lettore perfettamente a proprio agio e può dedicarsi allo svolgimento della trama senza temere tranelli linguistici o inceppamenti nello scorrere delle immagini. Immagini appunto, non parole, perché la perfezione della narrazione è capace di scomparire e lasciare il posto a vere e proprie immagini che, come dipinti da interpretare, ciascuno plasma a modo proprio, ma che comunque assicurano una certa tridimensionalità al narrato.
Il piano narrativo è intersecato da più linee temporali - presente, passato prossimo e remoto (Olanda XII secolo e Berlino 1940) - condotte magistralmente senza creare garbugli o soluzioni abborracciate con facili espedienti. Tutt'altro, l'autrice costruisce il suo universo, fatto di persone, fatti e luoghi, e lo manovra perfettamente, sapiente regista di una storia che appare semplice ma si complica sempre di più con l'aggiunta di nuovi elementi, sino al momento in cui le fila vengono tirate nella soluzione finale, forse non del tutto inattesa ma ben costruita come nella migliore tradizione giallistica. Accanto alla vicenda e alla ragnatela predisposta da Elisabetta con la tessitura della trama, vi è la denuncia del pregiudizio dell'omofobia e di quello per cui una donna avvenente, avendo sbagliato strada, si ritrova a subire e a dover fuggire per condurre una vita normale ed irreprensibile, animata e riscaldata dall'amore a cui è costretta a rinunciare perché sbocciato su di un terreno inquinato dalle atrocità della Storia.
Se la struttura generale del romanzo è, come dicevo, quella di un giallo, quindi dalle tinte abbastanza decise e marcate, dalla delicata penna di Elisabetta non possono non sbocciare fior di citazioni, che punteggiano con delicatezza le pagine, dimostrando conoscenza della letteratura e della filosofia, citazioni disposte in modo da far comprendere meglio certe situazioni e trasportarle per un attimo in un ambiente più poetico. Ma la narrazione di un giallo ha i suoi tempi e quindi il racconto immediatamente riprende col suo preciso ritmo. A sottolineare e descrivere meglio la non facile vita della protagonista, l'Autrice non fa mancare un sottile lavoro di cesellatura psicologica, preciso e ben definito, capace di dare una buona profondità ai personaggi ed al romanzo stesso. Nella lettura sono rimasta colpita dalla capacità di Elisabetta di affrontare situazioni magari per qualcuno scabrose (vedi le perversioni naziste perpetrate nel bordello berlinese) con una grande delicatezza mista a determinazione, a non voler nascondere nulla, scevra dal dolciastro perbenismo che trasforma il non voluto dire in nauseante esibizionismo. In questo romanzo il passo è davvero misurato e ben calibrato, e conduce il lettore nei meandri di una storia complessa, narrata in modo molto bello, che denota una coraggiosa mancanza di pregiudizio e capace di ammonire chi invece si cela dietro un perbenismo di facciata ma che nasconde vizi e nefandezze ben peggiori di chi fa oggetto di giudizio e di scherno. In definitiva un giallo ben costruito, che non si ferma all'indagine ma si addentra nell'indagine psicologica ed esistenziale, scritto in modo esemplare ed elegante. Penso che più di così non si possa desiderare, giunga così ad Elisabetta Maurutto il mio grazie per queste belle pagine (elettroniche).
(Luisa Debenedetti)

Citazioni da questo libro:
Eppure, aveva scoperto Sofia, c'era memoria e memoria. Sin da ragazzina aveva imparato a distinguere fra la memoria delle cose e quella dell'esperienza. La memoria delle cose era facile, una specie di resina che le rimaneva appiccicata addosso, le informazioni perfettamente conservate come insetti nell'ambra, pronte per essere recuperate all'occorrenza. A scuola, all'università, sul lavoro, l'aveva fatta procedere rapidamente, col vago senso di colpa di chi conosce le scorciatoie, i trucchi per faticare di meno. Ma l'altra, la memoria dell'esperienza, quella no.

"E perché ti fa arrabbiare così tanto?", le chiese Margrét con dolcezza.
"Perché mi fa sentire vulnerabile, ecco perché! Perché non ho nessun controllo sul mio passato e ho già visto a cosa può portare... e mi fa paura". Pronunciò le ultime parole con una voce che era poco più di un sussurro, poi smise di parlare, fissando il vuoto.

C'è chi non può ricordare e chi sceglie di dimenticare, aveva sempre pensato. In fondo, il risultato era il medesimo: le persone si concentravano sul presente e al massimo guardavano al futuro con un po' di diffidenza.

"Sì, ma i ricordi sono effimeri, inconsistenti. La realtà è che anche la tua gabbia è rimasta vuota!".
"Oh no, è qui che ti sbagli! Forse ho sbagliato a raccontarti di Platone, quel giorno in aeroporto… L'idea del vuoto ti angoscia e lo capisco. Ma la realtà è che la gabbia è la vita stessa: sono le esperienze che viviamo a darle forma e soprattutto a plasmare noi, il nostro modo di sentire e di vedere il mondo. Il fatto che il ricordo possa svanire non cambia nulla... vive in quello che siamo. Niente di ciò che hai vissuto è realmente perso".

Marin sapeva di essere un sentimentale, ma non riusciva a immaginare la propria vita lontana dai paesaggi in cui era cresciuto. "Dio ha creato il mondo, ma gli olandesi hanno fatto l'Olanda," ripeteva spesso. In quelle parole c'era tutto l'orgoglio di un popolo che era riuscito a strappare la propria terra al mare.
Non esisteva un altro paese così in tutto il mondo. Fatta eccezione per Venezia, forse, dove non a caso suo zio aveva deciso di stabilirsi.

Viaggiare la rendeva felice e i piccoli contrattempi non bastavano a rovinarle quel senso di gioia che le derivava dal sentire la vita scorrerle intorno. Milioni di persone, milioni di storie che, per un gioco del caso, si intrecciavano per un istante con la sua. Per chi osserva, l'umanità non è mai noiosa...

Da quando, pochi giorni prima, qualcuno era entrato in casa, aveva cercato di trascorrervi il meno tempo possibile, e mai da sola. Ma non poteva continuare così: la casa di Bear Gardens era il suo rifugio, un luogo speciale in cui si era sempre sentita al sicuro e non aveva intenzione di lasciare che le cose cambiassero. Le paure, aveva scoperto, sono tali solo fino a che non le si affronta.



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