Casa Editrice: Scatole Parlanti - 124 pagine
Formati disponibili: cartaceo
Genere: Narrativa
Trama:
"In punta di piedi" è una raccolta di racconti accomunati dal narrare storie di vita delicate i cui protagonisti sono anime indifese, dai difficili trascorsi o venute al mondo in condizioni poco fortunate. I personaggi emergono da contesti sociali problematici o vivono situazioni di disagio ma, dapprima smarriti, cercano tuttavia di superare le difficoltà incontrate, con un modo di agire che diviene il filo conduttore dell'intera raccolta. Infatti, in ogni caso, provano a ricostruire la loro esistenza, in punta di piedi, con un atteggiamento prudente e conciliante, sia pure spinti da indubbia motivazione. In alcuni casi sfidano semplicemente il vivere quotidiano e, con le loro fragilità, affrontano le mancanze e l'inesorabile trascorrere dei giorni. Altre volte, ai margini della società, accolgono la loro condizione e con un velo di speranza tentano di riscattarsi.
Recensione:
Una cover suggestiva, che scopriremo poi perfetta per descrivere le storie che racchiude, un titolo altrettanto azzeccato ed ecco "In punta di piedi", uno scrigno di vite, di umanità, di esperienze.
Liliana Gravino ha una scrittura scorrevole e immersiva, fa diventare i suoi racconti tridimensionali, i suoi personaggi reali, per un'esperienza di lettura dolce, commovente e profonda.
Ha un occhio attento sul mondo questa autrice, lo si percepisce da come scrive, da come non banalizza situazioni che sono alla portata di tutti, davanti agli occhi, ma le rende uniche, straordinarie, pur parlando di difficoltà, di disagio e solitudine, o di unicità di scelte di vita differenti.
Percepiamo "In punta di piedi" come possibile e vero. Ogni storia ha il suo messaggio positivo, una dignità, che la rende comprensibile e fruibile e la riveste di delicatezza, per offrirla al lettore come un dono.
Arricchiscono queste narrazioni, brevi ma ricche di intensità e con un'alta carica emozionale e formativa.
Lo scritto è adatto a tutti, dai ragazzi agli adulti, si può leggere un passo alla volta, in pochi minuti e avere soddisfazione, oppure andare oltre e assorbirne due o tre. Si possono leggere in fila, o saltare avanti e indietro, lasciando che sia il caso del momento a condurci sulla via delle narrazioni, certi di trovare personaggi che avranno qualcosa da condividere e che potremo sentire vicino, fare nostri.
Si potrebbe obbiettare che c'è un eccesso di buonismo in "In punta di piedi", troppa bontà. Io rispondo che, in un mondo dove sembriamo assuefatti alle tragedie, al dolore e indifferenti alle ingiustizie, ai crimini e al male, abbiamo bisogno di letture come questa, che sono un balsamo.
E' al bene che ci si deve abituare, perché sia veicolo di un circolo virtuoso. Cominciamo dai libri e vediamo dove possiamo arrivare. Cominciamo in punta di piedi.
(Tatiana Vanini)
Un breve estratto da "Zingarella":
Sono nata in un "campo nomadi" alla periferia di una grande città. Ultima di undici fratelli, sempre avvolta negli stracci, mia madre mi trasferiva con lei nei luoghi in cui chiedeva l'elemosina. Di quei giorni restano nella mia memoria l'odore acre della sua pelle e il suono acuto della sua voce, vagamente mescolati alle esalazioni dei gas di scarico e ai rumori striduli della città. Non appena fui in grado di camminare, tentai di allontanarmi da quelle postazioni maleodoranti, troppo fredde d'inverno e afose in estate, dalle quali ripetutamente mia madre doveva inseguirmi. Le urla e gli schiaffi ricevuti in quegli anni non servirono a farmi desistere cosicché, ad un certo punto, quando ebbi cinque o sei anni, decise di lasciarmi alla roulotte: oltre a essere indomabile, rappresentavo uno spauracchio per i suoi affari.
Quasi abbandonata a me stessa tra la sporcizia e il degrado dell'accampamento, rimasta in balia di una nonna anziana e obesa che a malapena si reggeva in piedi, godevo soltanto della compagnia di un cane molosso, perennemente tenuto a catena. A prima vista feroce, era solo molto triste. Se lo si avvicinava con dolcezza, diventava quanto di più amabile potesse esistere. I suoi occhi disincantati parevano cercare la mia presenza. Languidi, sbucavano da un muso nero, tutt'altro che duro.
La sera, quando i componenti della famiglia tornavano, nessuno mi considerava. Le donne affaccendate, compresa mia madre, cuocevano in grossi pentoloni pezzi di carne affogati in brodaglie miste a spezie per camuffarne il sapore ormai irrancidito. Spesso mi rifiutavo anche di mangiare. Al cane veniva dato del pane vecchio ammollato in quegli intrugli da cui poteva percepire soltanto lontanamente l'odore della polpa, peraltro rafferma. Quando cucinavano il riso o la pasta potevamo, io e il cane, considerarci fortunati.
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