Casa Editrice: Indipendente - 316 pagine
Formati disponibili: cartaceo
Genere: Narrativa
Trama:
"L'intimità è un gioco di luci e ombre, uno spingere le radici, un rapportarsi con le varie parti di sé e le varie parti dell'altro".
Ann Østein è una pittrice nata a Sandefjord che da qualche anno vive a Tønsberg in Norvegia. Un giorno, nel suo salotto-studio al primo piano, senza bussare, entra un giovane che candidamente le confessa di non aver alcun interesse per l'arte. Da lì la sua vita cambierà.
Recensione: "Il giorno deve arrivare" di Laura Oskene è un'opera che, come romanzo, risuona nel mio spirito di lettore con una eco discordante, ho preferito i versi che aprono e chiudono il romanzo, sono poesia che si nutre della possibilità di creare infiniti universi paralleli, istantanee che riportano l'attenzione sul rimosso, su ciò che non si vorrebbe vedere o che si era dimenticato, almeno apparentemente. L'impressione è quella di perdere e di acquisire insieme un filo che è sempre sfuggente per quanto onnipresente, in un'altalena di pensieri sovrapposti, in un labirintico percorso dell'anima nel suo farsi tortuoso, accidentato, dolce e crudele oltre che criptico. Questo filo è la vita accesa dalla scintilla di un'eterna ribellione e da queste imprevedibili provocazioni; da questi intensi e poetici accoppiamenti di immagini nasce una forte carica contemporaneamente distruttiva e liberatoria.
Con uno stile personale e costantemente in bilico tra l'onirico e la follia, la Oskene si propone di andare a fondo del mistero dell'animo umano e lo fa in modo quasi spietato e crudo, senza freni, né inibizioni di sorta.
Il romanzo è ambientato in Norvegia; Ann, la protagonista, è una pittrice (come lo è l'Autrice) la cui vita è improvvisamente e surrealmente stravolta dall'incontro con il giovane Samael che la trascinerà in un vortice sempre più violento di passione in cui si alternano e confondono altre figure: Mons (fratello di Samael), Sven, Chris, un bambino ex alunno di Ann, i genitori dei ragazzi, quelli di Ann e giovani donne che la protagonista vive come rivali.
I personaggi appaiono e scompaiono nella scrittura, momenti di tenerezza si alternano a momenti di crudeltà psicologica e violenta, l'erotismo di certe scene è rabbioso, doloroso, crudele: ma è tutto reale? A mio avviso, l'effetto ottenuto dall'Autrice è quello di mettere in mostra l'inesistente che c'è nella vita moderna, tutto l'effimero e sentenziato modo di vivere in questa società schizofrenica, fatta di paure immotivate e poi di gioia ingenua, di accuse e poi di perdoni spudorati, di amore come fosse una morte e di morte come fosse un amore; forse si tratta di una denuncia: siamo ancora capaci di morire per amore o di amare da morire? Forse è tutto questo, o molto, molto di più.
La narrazione è una corrente di parole torrenziale e ingovernabile, in grado di distruggere di continuo la realtà e di costruire mondi paralleli sempre nuovi, travolgendo ogni logica e naturalismo in derive surreali che liberano il flusso anarchico del desiderio e dell'autodistruzione.
L'Autrice si addentra a modo suo e senza fare sconti, tutt'altro, nell'introspezione psicologica, confessa l'inconfessabile nascosto nella profondità dell'essere non certo attraverso il semplice confronto con il reale, ma utilizzando proiezioni fantastiche, nuclei narrativi, incursioni nel surreale, tra personaggi e presenze intese come sempre più palpabili esempi di narcisismo e di psicopatia. Il risultato dei rapporti caratterizzati da questo genere di sfumature è un profondo e tossico legame tra vittima e carnefice che si scambiano i ruoli interpretando le varie sfaccettature nascoste dell'animo umano.
In conclusione, si tratta di un lettura faticosa e spesso ostica per i repentini cambi di scena e scambi di persone, non è facile da digerire sia per lo stile sia perché trasmette un messaggio che non ci piace: siamo il Minotauro e Dedalo. L'uno è il nostro vero io, quello che spesso ci spaventa incontrare, l'altro è la nostra mente che costruisce dei muri che spesso ci imprigionano. E noi viviamo in queste stanze che si susseguono che a volte ci piacciono, a volte no e continuiamo a costruirne per fuggire da noi, dal Minotauro.
Incontrarci fa paura, ma dobbiamo avere più paura dei muri, non ci proteggono: ci annullano.
Hermann Kern scrisse:
"Nel labirinto ci si trova
Nel labirinto non si incontra il Minotauro
Nel labirinto si incontra se stessi."
(Luisa Debenedetti)
Citazioni da questo libro:
Il respiro che le bruciava in petto, fece una rincorsa e saltò su in gola e negli occhi, pettinato da una lama.
Si sentì ridicola, molesta fin dentro i suoi stessi pensieri, fuori luogo e se ne andò a letto.
Non siamo che pezzi di carne lacerata che si muovono in direzione della morte e così, col nulla finale che rende ogni altra cosa vana, so che riuscirò a trovare riparo in qualche altra illusione.
La tristezza,
il senso della tragedia,
non sono che un modo
per guardarsi più a fondo dentro, niente dura, tutto nasce
per dissolversi alla fine.
Cammino, scrivo, dipingo.
Non so più dire davanti a te
se il mio cuore
sia di Satana o di Dio,
se mi spetti ancora
di diritto la salvezza
o per me non sia rimasto
che il piacere della dannazione.
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