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Fumo negli occhi e altre avventure dal crematorio
di Caitlin Doughty

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    Casa Editrice: Carbonio Editore - 251 pagine
    Disponibile in formato cartaceo




  • Genere: Narrativa

    Trama:
    Mentre la maggior parte della gente rifugge il pensiero della morte, Caitlin Doughty ne è incuriosita fin da quando era piccola. E, dopo essersi laureata in Storia medievale con una tesi sulla stregoneria, a ventitré anni ha scelto di diventare un'intrepida esploratrice del mondo dei defunti, trovandosi un impiego alla Westwind Cremation & Burial, un'impresa di pompe funebri di Oakland. In questo bizzarro memoir seguiamo le tragicomiche avventure della giovane apprendista e dei suoi esperti colleghi alle prese con strani rituali funebri, assurde richieste dei parenti e i tanti segreti dell'industria funeraria.

    Recensione:
    "Fumo negli occhi - e altre avventure dal crematorio" di Caitlin Doughty è, in prima istanza, il diario dell'esperienza dell'Autrice che si prefigge il compito di insegnare al lettore come affrontare la propria mortalità. All'età di 23 anni, Caitlin trova lavoro alla Westwind Cremation & Burial, una camera mortuaria a conduzione familiare a Oakland, in California, con il ruolo tuttofare: eseguire compiti raccapriccianti come radere i morti, lavarli e metterli nella storta per essere cremati. L'autrice racconta particolari macabri e dettagliati sui corpi postmortem: apprendiamo così che un corpo adulto richiede da due a tre ore per cremare e che il petto impiega più tempo a bruciare; che la decomposizione causa "desquamazione" o "scivolamento della pelle", dove lo strato superiore della pelle si allenta e scivola via come se volesse "abbandonare la nave" e che la pelle in decomposizione può mutare in qualsiasi colore dell'arcobaleno, dai pastello al neon.
    Un tale livello macabro di dettagli può sembrare gratuito in mani meno capaci ed erudite, ma la Doughty apporta una leggerezza al testo: compensa applicando forti dosi di humour e spirito tagliente. Un esempio: "Non importa quante copertine di dischi heavy metal avessi visto in vita mia, o quante opere di Hieronymus Bosch sulle pene dell'inferno, o quante volte avessi guardato e riguardato la scena di "Indiana Jones " in cui ai nazisti si squaglia la faccia: non c'è niente che possa prepararti alla vista di un corpo che viene cremato."
    Ci sono momenti a Westwind in cui la giovane Caitlin si domanda cosa ci faccia lì, poi ci presenta i suoi collaboratori: Mike il capo, Chris il trasportatore dei corpi e Bruce l'imbalsamatore. Ognuno le insegna qualcosa di diverso sulla sua professione, così quando lascia l'azienda per frequentare la scuola di tanatoprassia, sembra che esca da un mondo affascinante e oscuro che ha davvero imparato ad amare. A questo punto il libro diventa più triste, scopriamo che l'esperienza di ottenere un diploma avanzato sia infelice, peggio che lavorare in un crematorio; Caitlin arriva a tentare di suicidarsi, anche se ha abilmente glissato nel racconto di questo episodio (pur richiamandolo più volte).
    Ma questo è molto più di un libro di memorie, la Doughty intreccia abilmente il suo personale percorso con la storia culturale, l'antropologia, la mitologia, la religione e la filosofia. Come tale, veniamo a conoscenza del funerale cannibale della tribù Wari in Brasile, delle tecniche di imbalsamazione egiziana e della pratica musulmana del ghusl. Ci porta dall'ossessione del cristianesimo con i primi santi, agli obitori parigini del XIX secolo e attraverso la medicalizzazione della morte del XX secolo. Scopriamo i rituali di morte di indù, buddisti e monaci tibetani.
    L'autrice, chiaramente, conosce molto bene ciò di cui scrive, e l'uso giudizioso di questi aneddoti - sparsi come cenere attraverso il testo al momento giusto per contestualizzare le proprie esperienze - arricchisce la narrazione.
    Nel terzo secolo a.C., gli Stoici ci hanno insegnato che imparare a vivere bene insegna a morire bene. Più di 2.000 anni dopo, la Doughty è in missione per porre fine alla "negazione della morte" e contemporaneamente recuperare i processi che circondano ciò che ci accade dopo la morte. Sottolinea in modo appassionato che ci si dovrebbe prendere cura dei propri morti come facevano i nostri antenati. Lavando noi stessi il cadavere. Prendendo il controllo assoluto della nostra paura.
    Un libro grafico e morboso come questo potrebbe tranquillamente risucchiare il lettore in un attacco di tristezza, ma la Doughty è una guida turistica fidata attraverso il ripugnante e meraviglioso mondo della morte, sostenitrice convincente e appassionata dei cambiamenti nei nostri atteggiamenti culturali nei confronti della morte. Che si sia d'accordo o meno con la sua posizione, c'è molto da apprezzare in questo memoriale riflessivo, inflessibile e a tratti anche divertente.
    Il messaggio che la Doughty ha voluto trasmettere è forte e chiaro, consiglio vivamente di leggere e riflettere su questo libro perché dobbiamo renderci conto serenamente che, come disse Kafka "il senso della vita è che finisce" e poi, ancora, Brian May (Queen) "Who wants to live forever?"
    (Luisa Debenedetti)



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